Occupandomi
di un bambino diagnosticato ADHD di nome Marco (nome inventato, di seguito M.)
per oltre 4 anni alla Scuola Primaria, ho potuto notare che le difficoltà
maggiori le hanno più i genitori dei compagni e gli insegnanti, che i bambini
stessi.
I
compagni di M. sono stati e sono tuttora molto affettuosi e comprensivi,
nonostante possano arrivare ad un limite di sopportazione che sfocia poi nel
malcontento evidente!
Ci
sono anche molti atteggiamenti accoglienti la “diversità” di M. da parte dei
compagni, arrivando a comportamenti finanche accudenti. In queste occasioni è
evidente come una “diversità-fragilità” possa indurre sentimenti di affettività
genitoriale da parte dei coetanei. Allo stesso modo i bambini possono arrivare
ad assumere ruoli normativi, quando stanno accanto a M., aiutandolo a fare i
compiti o quando gli danno indicazioni comportamentali.
I
bambini sembrano molto creativi nell’inventare modi di stare con chi ha delle difficoltà,
sanno superare il fastidio causato dall’esuberanza di un bambino iperattivo,
per arrivare a interagire con lui in modo efficace, servendosi anche
dell’adulto come mediatore.
In
alcuni momenti, tuttavia, ho notato quanto i compagni provochino M. affinché
crei scompiglio in classe: dopotutto un certo Freud definì il bambino “perverso
polimorfo”, cioè in grado di procurarsi soddisfazione libidica in differenti
modi perversi, estendibili a mio avviso, anche alle relazioni sociali con i
pari. Attraverso le dinamiche relazionali l’individuo, in questo caso il
bambino, può trovare soddisfazione nel provocare una reazione violenta da parte
del bambino iperattivo, per le motivazioni più disparate.
Ho
potuto vedere, per esempio, bambini che dopo aver provocato M. con un gesto,
correvano da me per
farsi difendere, mettendosi dietro di me e chiedendomi aiuto con un’espressione
ibrida che esprimeva paura, divertimento ed eccitazione.
Spesso
ho visto i compagni di M. provocarlo perché si creasse panico in classe:
è
una soddisfazione forse “sadica” indurre M. a reagire in modo violento contro i
banchi, gli astucci, le insegnanti, i compagni, l’ AEC?
Oppure
può essere gratificante per il bambino vincolato ad una condizione di
“normalità”, provocare le reazioni aggressive nell’unico bambino che è quasi
legittimato ad averne, visto che è un bambino con problemi, che ha la maestra
di sostegno e l’AEC? Insomma un modo per vivere l’aggressività proiettandola
sull’altro e vedendola agita dall’altro?
A voi la risposta!
La
gestione efficace del bambino iperattivo in classe e non solo, dipende anche
dal comportamento che l’adulto assume. Ho potuto notare diversi comportamenti
degli adulti che purtroppo sono stati inefficaci, ad esempio:
1.
Le
insegnanti possono mostrare insofferenza per la presenza del bambino iperattivo
in classe attraverso atteggiamenti che portano a considerare il bambino come un
elemento da tenere il più possibile lontano dai compagni. Per legittimare un
tale comportamento si adducono come motivazione, i comportamenti esuberanti
dell’iperattivo, che possono essere non solo disturbanti per l’intera classe ma
anche pericolosi per l’incolumità degli altri bambini. Tutto ciò provoca un
isolamento del bambino ADHD e una svalutazione delle possibili potenzialità da stimolare
nel bambino.
2.
I
genitori dei compagni dell’iperattivo possono lamentarsi pesantemente della
presenza del bambino che spesso fa dispetti, sputa, tira calci, schiaffi, pugni
ecc., finanche minacciando di fare denuncia alla Scuola se il loro figlio torna
a casa con un graffio o con un livido. Questo comportamento evidenzia una
scarsa capacità di mettersi al posto degli altri e provare a comprendere le
difficoltà che, dopotutto, avrebbero potuto avere anche i loro figli.
Esempio di comportamento efficace:
3.
Le
insegnanti e i genitori dei compagni del bambino iperattivo possono cercare di
comprendere la natura del disturbo, cercando di mettere da parte il desiderio
di avere meno rogne possibili e piuttosto di considerare il fatto che un
bambino con tali difficoltà può essere occasione per gli altri bambini, di
maturare una sensibilità verso la diversità, specialmente se la diversità
costituisce motivo di malessere personale e d’isolamento. I bambini cosiddetti
“normali” possono essere così aiutati a considerare quello “anormale” come uno
di loro, che ha bisogno di comprensione e aiuto. Questi bambini, aiutati da
adulti comprensivi, possono concorrere attivamente all’ integrazione del
bambino iperattivo, facendo probabilmente la parte più grossa e importante. È
da loro infatti che M. ha avuto maggiore motivazione al cambiamento delle
proprie modalità comportamentali, non lo sono state le punizioni, né i moniti
genitoriali.
Purtroppo
devo concludere che molte scuole primarie e non solo, sono poco preparate a
interagire efficacemente con bambini ADHD o DSA o aventi altri tipi di
disturbi. Non c’è una mentalità volta all’ascolto e alla comprensione delle
difficoltà dell’altro, piuttosto si pensa allo svolgimento del programma
ministeriale, non si ha tempo per lavorare sulla socializzazione dei bambini
all’interno della classe, anche in assenza di bambini “problematici”,
figuriamoci in loro presenza!
Mi
auguro che in un futuro prossimo ci sia un cambiamento di rotta nelle scuole,
volto a considerare maggiormente la necessità che hanno i bambini di vivere la
scuola come un’agenzia educativa e di socializzazione, in cui poter imparare a
“fare gruppo”, a essere collaborativi e non competitivi, a gestire i conflitti;
in cui possano imparare a contattare le proprie e le altrui emozioni, positive
e negative e a riconoscerle, tutte, come legittime.
Insomma
spero che le scuole possano diventare luoghi dove s’impari sì a “leggere,
scrivere e a far di conto”, ma soprattutto dove s’impari a VIVERE!
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