“… Mi colpisce la
solidarietà fra l’assassino e il pescatore. Sento di poter individuare una
sorta di identificazione fra il pescatore e Gesù. Anche l’uomo di Nazareth divideva
i pani e i pesci con gli uomini della peggior risma… anche se uno è stato un
assassino, non si può lasciare senza acqua e pane, il pescatore – anziano, con
il suo solco lungo il viso – nella vita ne ha viste tante e sa bene che si può
perdonare anche chi ha ucciso…”.
Don Andrea
Gallo, da “Sopra ogni cosa. Il vangelo laico secondo Fabrizio de André nel
testamento di un profeta”, Edizioni Piemme Spa, Milano.
Don Andrea Gallo:
- Il prete anarchico;
- Il prete di strada;
- Il prete di sinistra.
Una voce fuori dal coro
che ha saputo parlare di Gesù, dal basso delle periferie, intrise del dolore
della delinquenza.
L’assassino della ballata
di De André è stato accolto dal pescatore, come persona, con la sua dignità,
nonostante gli sbagli che abbia potuto commettere nella vita. L’accoglienza
dell’altro nella sua diversità è il primo insegnamento che dovrebbe derivare
dall’Amore Cristiano. Dall’accoglienza può nascere la redenzione. Spesso
invece, i cosiddetti Cristiani sono intolleranti verso chi è diverso da loro,
verso coloro che peccano. E scagliano le pietre!
Non siamo in grado di
stare l’uno davanti all’altro, guardarci negli occhi e dire quanto abbiamo
bisogno d’amore, di considerazione, d’accoglienza. Siamo troppo impegnati nel
lavoro, nella corsa all’acquisto dell’ultimo smartphone uscito, per fermarci ad
ascoltare i nostri bisogni interiori. Questi ultimi sono stati sostituiti dai
bisogni esteriori di conformità a status symbols ormai dominanti,
caratteristici dell’attuale società narcisistica.
È per seguire i bisogni
esteriori di cui sopra, che molti si danno alla delinquenza: è più facile far
soldi spacciando droga, piuttosto che lavorare 8 ore al giorno. Con l’incalzare
della disoccupazione e della crisi economica poi, la disperazione e la rabbia
aumentano a dismisura e in molti casi si giunge alla legittimazione dell’illegalità.
Quest’ultima è aumentata ormai, in tutti gli strati sociali!
Ecco allora che ci ritroviamo
con i carceri affollatissimi, carichi di delinquentucci e di immigrati
clandestini, altri disperati che corrono verso un illusorio mondo migliore.
I grandi delinquenti,
quelli che tirano le fila, non sono in carcere, sono liberi di operare in tutta
tranquillità, ma questa è un’altra storia!
Affrontare i problemi dei
carceri sovraffollati, degli immigrati clandestini, della delinquenza dilagante,
è di sicuro necessario. Ma per cambiare le cose veramente, bisogna cambiare
prospettiva e tornare a valorizzare il nostro mondo interiore: quello che ci
mette in contatto con la nostra natura umana e divina; quello che ci permette
di accorgerci dei nostri bisogni e di quelli degli altri; quello che ci rende
capaci di accogliere l’altro in quanto portatore di dignità, di qualsiasi
colore o religione o sessualità sia e qualsiasi cosa abbia fatto nella vita.
Forse sono in preda a un
delirio che vagheggia un’utopia, ma voglio gridare lo stesso, prendendo in
prestito un antico motto: “Finché c’è vita c’è speranza”!
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