Spiritualità e Psicopedagogia


Dio creò dalla polvere Adamo e lo pose nel giardino di Eden.
Il signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male…
…Il Signore Dio prese l’uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
Il Signore Dio diede questo comando all’uomo:
“Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti.”
Poi Dio creò Eva dalla costola di Adamo e insieme diedero il nome a tutte le creature di Dio.
Ad un certo punto compare il serpente, che è Satana, colui che si oppone a Dio, suo Creatore. Il serpente indusse Eva a mangiare il frutto dell’albero della conoscenza del bene e del male, dicendole che non era vero ciò che aveva detto il Signore Dio:
loro non sarebbero morti! Ed Eva mangiò e così Adamo.

A causa della disubbidienza Adamo ed Eva vennero cacciati dall’Eden e da esseri perfetti ed eterni, divennero esseri imperfetti e mortali e così tutta l’Umanità, che da loro ha avuto origine. Inoltre avrebbero faticato per vivere, lavorando e soffrendo una vita non più in Grazia di Dio.

Dio aveva dato piena libertà ad Adamo ed Eva, l’unica cosa che non potevano fare, era mangiare quel particolare frutto, altrimenti sarebbero diventati esseri mortali.


Si potrebbe vedere il divieto di Dio, come uno dei tanti "no" che il genitore deve dare al bambino piccolo, per farlo crescere, anche non motivandolo, perché non avrebbe le risorse cognitive per capire.
Siamo preoccupati spesso di essere liberi di fare tutto ciò che vogliamo, ma forse la libertà non è semplicemente, fare ciò che si vuole. Paradossalmente, l'estrema libertà potrebbe essere la nostra gabbia, in cui per essere liberi, trascuriamo i rapporti con gli altri. Ciò ci porta a una escalation di atteggiamenti narcisistici, che tendono a soddisfare il nostro senso di onnipotenza, ma che ci potrebbero spingere verso la morte:
il bambino piccolo che non conosce la corrente elettrica, vuole assolutamente toccare il filo scoperto, proprio quello, non vuole la palla, vuole quel filo scoperto, che potrebbe ucciderlo!!!



I bambini sono molto creativi nell'escogitare modi efficaci per ottenere ciò che vogliono dai genitori (o comunque dal caregiver): fanno capricci di ogni genere, si buttano a terra, fanno sceneggiate strappalacrime...
L'adulto in quel momento può decidere di cedere per sfinimento e allora il bambino ha trovato il modo per "vincere". 
Il "no" deciso e irremovibile in certi casi è essenziale affinché il bambino cresca con dei limiti vitali per la sua crescita psico-emotiva e relazionale.





Dammi ciò che mi spetta


La parabola del figliol prodigo è ricca di significati pedagogici illuminanti per il rapporto genitori/figli.(Parabola)

Il più giovane dei figli chiede quello che gli spetta e se ne và.
Sappiamo poi che sperpererà tutto in una vita dissoluta.


Soffermiamoci sulla richiesta dell’eredità da parte del figlio: come ha reagito il padre?
Questo ha dato ciò che doveva al figlio senza dire nulla riguardo l’eventuale uso che ne avrebbe fatto.
Questa reazione è normalmente riscontrabile nelle nostre relazioni genitori figli?
O piuttosto quello che facciamo è chiedere all’ipotetico figlio, che ne sarà della eredità, che potrebbe semplicemente simboleggiare “la sua vita”?
Il padre della parabola dà al figlio ciò che gli spetta.
Cos’è quello che gli spetta?
Solo un gruzzolo di soldi?
In realtà, se andiamo più affondo, ciò che il padre dà al figlio è il permesso di vivere la propria vita, senza interferire, lascia piena libertà al figlio.
Il figlio si accorge che vivendo a modo suo, ma senza criteri logici e senza valori, poteva soddisfare dei bisogni immediati di sfrenata libertà. Ed è ciò che ogni uomo è potenzialmente portato a fare, visto che abbiamo tutti ereditato il peccato originale (principio del piacere di Freud che ci rende tutti desiderosi di onnipotenza). Poi si dovette rendere conto che l' estrema libertà non porta alla felicità, ma al disfacimento della vita stessa.
Ridestatosi dall’illusoria libertà, proprio come Adamo ed Eva si accorsero di essere nudi, poté capire il vero senso della libertà e il valore dei limiti.

E se ne tornò dal padre pentito e dispiaciuto.
Il padre lo accoglie facendo festa e non dicendo “Lo sapevo che andava a finire così!”, come spesso accade a molti genitori. Lo aveva lasciato in piena libertà e in piena gratitudine lo ha accolto. Questo comportamento risulta il più efficace da parte del genitore, perché non è direttivo, ma centrato sui bisogni di autonomia che il figlio cerca, anche con mezzi discutibili.

Il figlio maggiore, accortosi della festa fatta dal padre per il ritorno del figlio, si indigna perché lui non aveva mai avuto un capretto nonostante fosse stato sempre un figlio fedele.
Molti vedono il fratello maggiore come una figura negativa, che allontana addirittura da Dio, visto che non sa essere felice del ritorno del fratello.

Il padre ha avuto parole amorevoli per quel figlio indignato, non ha inveito contro di lui per ciò che provava, anzi lo ha rassicurato circa l’amore che lui continuava ad avere.
Chi siamo noi per giudicare il fratello maggiore così aspramente?
Una lettura più vicina alla natura umana, ci può far vedere che la reazione del fratello è assolutamente frequente e normale. Tutti noi abbiamo bisogno di essere riconosciuti; dunque il fratello maggiore era geloso dei riconoscimenti dati al fratello dissoluto, ma soprattutto era preoccupato che il padre non avesse abbastanza considerazione di lui.
Non è sempre "cosa buona e giusta" infatti, nella relazione genitori figli, sottintendere l’amore e la considerazione che si prova per i figli e così per i genitori da parte dei figli.
Dio stesso ci dice (non sottintende) il suo amore per noi in mille modi e ama essere amato da noi, anche se non pretende che lo ricambiamo, perché il suo è un amore incondizionato e gratuito.
Infatti non ha tardato a dimostrare subito amore verso il maggiore indignato:
“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.


Possiamo leggere questa parabola con due chiavi di lettura, una letterale e una allegorica.
Letterale:  protagonisti sono genitori e figli, che necessitano di riconoscersi a vicenda. Il figlio minore aveva bisogno di essere accolto dopo il suo rinsavimento, cioè aveva bisogno di essere accolto dal genitore chiedendo scusa dei suoi errori.
I genitori hanno bisogno di essere riconosciuti come amorevolmente direttivi, datori di regole e limiti per il bene dei figli.
Hanno bisogno cioè di essere confermati dai figli, come genitori efficaci. Il figlio maggiore aveva bisogno di riconoscimento che forse, non aveva mai avuto palesemente dal padre e dalla madre.
Il capretto potrebbe semplicemente rappresentare il riconoscimento, il “ti voglio bene” che troppo spesso viene taciuto, in parole e in fatti.

Le cose non dette determinano confusione in genitori e figli, come anche in qualsiasi relazione interpersonale.
Allegorica: il padre è Dio e i figli le sue creature. Il figlio minore è accolto non solo gratuitamente, ma addirittura con festeggiamenti, proprio perché Dio è consapevole della crescita del figlio, comprende e "giustifica" (nel senso biblico) i suoi errori. È Dio che va incontro al figlio proprio perché è Dio, è lui tanto grande da poter accorrere verso il figlio senza paura di sottomettersi, paura molto frequente purtroppo negli uomini: si chiama orgoglio!

Per quanto riguarda il figlio maggiore, dovrebbe festeggiare col Padre perché è forte del riconoscimento che Dio gli dà in ogni respiro che fa, essendo lui un servo fedele. Come essere umano, il figlio maggiore si aspettava un riconoscimento da Dio nell’ottica tutta umana, non pensando che Dio gli dava ogni giorno, in grazia: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato".

Le parole amorevoli del Padre, verso il figlio maggiore,  hanno una maggiore probabilità di essere illuminanti circa il significato della festa, fatta per il ritorno del figlio sconsiderato e arrogante!

Le parole aride e giudicanti, invece, che spesso si odono dal Pulpito, riguardo il comportamento del figlio maggiore, se fossero state pronunciate dal padre della parabola, probabilmente sarebbero risultate solamente denigranti e non avrebbero illuminato un bel niente!
Dovremmo oppure no, imparare il comportamento “buono e giusto”, dall’ascolto della Parola?
Perché allora ci ostiniamo a confermare le nostre convinzioni ristrette e meschine, spacciandole per Verità?